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M° Loris Guidetti

In Aggiornamenti, Karate, Rassegna Stampa | Febbraio 8, 2017

“Io vorrei che tutti i praticanti comprendessero che tutto ciò che esiste nell’ambito della FIKTA e del nostro karate è scaturito da un grande sogno del Maestro Shirai.”

(In KarateDo n. 30 apr-mag-giu 2013)

Maestro Guidetti, ci parli un po’ di sé, della sua famiglia e della sua professione.
Sono nato il 20 dicembre del 1953 a Reggio Emilia, dove vivo attualmente con la mia compagna Loretta Gabrielli, anche lei maestra di karate della FIKTA. Ho due figli: Francesco di 32 anni e Giovanni di 24, entrambi praticanti di karate e atleti.
Non sono mai stato un bravo studente e non ho mai amato particolarmente lo studio, ho abbandonato la scuola alle medie e ho subito iniziato a lavorare nell’attività di mia madre. Lei era fruttivendola, aveva un banco di frutta e verdura nella piazzetta del centro città e io, a dire di mia mamma, ero un discreto fruttivendolo. Questo lavoro mi piaceva molto, apprezzavo soprattutto la libertà della piazza e il contatto con le persone. Le mie mansioni erano da tipico garzone e dovevo anche urlare i nomi della frutta e degli ortaggi che vendevamo, tipica strategia di piazza per attirare le persone vicino al banchetto ed esortarle, con un po’ di stratagemmi, all’acquisto della nostra merce. All’inizio, data la mia timidezza, è stato piuttosto difficile, ma in seguito è diventato divertente, mi sentivo a mio agio, un bravo fruttivendolo! Per un paio di anni ho continuato a lavorare con mia madre, poi ho fatto il commesso, prima in un grande negozio, l’odierno supermercato, poi in una boutique di classe di abbigliamento maschile. Non ero però molto in linea con questo tipo di vestiti: portavo jeans stracciati, maglioni grandi, scarpe da ginnastica e avevo i capelli lunghi oltre le spalle. Probabilmente ero simpatico al padrone ed ero accettato, ma ogni giorno venivo invitato a cambiare look.
Mi chiedi che professione svolgo ora… non mi piace pensare che il karate sia il mio lavoro o la mia professione, anche perché non l’ho mai considerato tale. Come si fa a ritenere il “mio” karate un lavoro? Come può essere una professione ciò che ami, ciò che faresti sempre, ciò che ti appassiona e ti affascina, ti diverte e ti entusiasma, ti ha messo di fronte a te stesso e ai tuoi limiti e ti ha insegnato, con l’aiuto di una guida, a capirli e superarli? Al di là di questo, in ogni caso, rimanendo nel tema della sopravvivenza economica, sicuramente la palestra è stata ed è tuttora la fonte del mio sostentamento.

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